Salutando il 2014


31 Dicembre, giorno di bilanci: un nuovo anno, il 2015, è alle porte e tutti noi, volenti o nolenti, ci ritroviamo a fare i conti con quello che è appena trascorso.

Come di consueto, svariate trasmissioni televisive e testate giornalistiche dedicheranno “speciali”  a eventi o personaggi, che hanno in qualche modo caratterizzato il 2003.

Si tenterà, grazie agli interventi di insigni professionisti ed opinionisti, di conferire una valenza positiva o negativa “al tempo che fu”. Senza scomodare carta stampata e tubo catodico, qualunque cittadino “medio”, durante il celebratissimo e imperdibile (?) Cenone (l’uso della maiuscola non è casuale, ma si pone come dovuto tributo ai tanti “devoti” di San Silvestro), disserterà animatamente con i commensali dei buoni propositi per il futuro e mostrerà rammarico per le tragedie che hanno contraddistinto il recente passato.

Tra una portata e l’altra, insieme a piatti e forchette, si avvicenderanno indiscriminatamente discussioni e recriminazioni, argomentazioni “leggere” e “impegnate”: gli ultimi pettegolezzi sulla “stellina” del momento, rimbrotti e barzellette sulla politica  e sull’età pensionabile, ipotesi sulla ripresa o meno dell’ economia mondiale… e via dicendo.

Parole, parole, parole… chissà perché, per qualcuno, le cosiddette “ricorrenze comandate” si riducono ad un movimento frenetico di mascella, consumo di cibo, verbalizzazione compulsiva, sfoggio (e pretesa) di mondanità. E così sia, tutto si trasforma in occasione per fare pubbliche relazioni, retorica spicciola, confezionamento accurato di sé e dei doverosi doni natalizi. Questo è il punto: il termine “dovere” viene ad inquinare festività che potrebbero essere dedicate alla sfera del desiderio e del privato e, soprattutto della gratuità. Siamo talmente assuefatti a comportarci “come si conviene”, ad apparire abili conversatori  e suadenti intrattenitori nella nostra veste professionale, da non riuscire più a spogliarci dei nostri “panni da lavoro”, anche quando la situazione lo consentirebbe.

L’invito (e l’augurio) che vi rivolgo è di gestire con cura il tempo libero che le prossime feste vi concedono. Fronzoli e orpelli ci soffocano troppo spesso, lasciamo aperto uno spiraglio all’essenzialità e al silenzio. Il rumore, il “rimunginamento”, l’indignazione ostentata “per questo mondo che va a rotoli” confondono solo le acque, non inducono al cambiamento sia personale che a più  largo spettro.

Il cambiamento rappresenta il fondamento della dinamica sociale ed è frutto di trasformazioni che si susseguono perpetuamente; trasformazioni che possono essere lente e graduali o, viceversa, repentine e inaspettate. Attenzione, la corrispondenza tra trasformazione e progresso non è un assioma, poiché il cambiamento può rivelarsi positivo/negativo; regressivo/progressivo;costruttivo/distruttivo.

Si tratta di un processo continuo che attinge dalle risorse disponibili in una dimensione di progettualità rivolta al futuro; è basato sulla partecipazione di tutti i soggetti e le componenti agenti nella situazione e nel sistema di riferimento.

La società è sempre più connessa. Ogni fenomeno, decisione, azione, comportamento appartiene ad una sorta di “rete”:

  • la rete ci condiziona
  • le nostre azioni modificano le relazioni e i vincoli
  • le relazioni e i vincoli si rigenerano
  • le nostre azioni devono essere progettate
  • con i nostri progetti modifichiamo la rete


Il cambiamento è dunque risultato del rapporto tra le singole parti ed è tessuto dalla combinazione armonica tra di esse.

Sogno? Utopia? “Una carta del mondo che non contiene il Paese dell’Utopia non è degna nemmeno di uno sguardo, perché non contempla  il solo Paese al quale L’Umanità approda di continuo. E quando vi getta l’ancora, la vedetta scorge un Paese migliore e l’Umanità di nuovo fa vela. Il progresso altro non è che il farsi storia delle utopie…” (Oscar Wilde).

 

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