Donne al bivio: carriera o famiglia. Cosa sta cambiando?


I limiti del mio linguaggio denotano i limiti del mio mondo. Affermazione di enorme spessore fatta da Ludwig Wittgenstein, un noto filosofo vissuto a cavallo tra l’800 e il ‘900. Affermazione sicuramente discutibile che nasconde però una verità assoluta. Vediamo perché attraverso un breve aneddoto: un medico ed il figlio sono travolti in un terribile incidente stradale; l’uomo muore sul colpo, mentre il ragazzo viene portato d’urgenza all’ospedale più vicino. Il medico chirurgo si prepara per l’operazione d’emergenza, ma una volta visto il giovane esclama “non posso operare. E’ mio figlio!!!”. 

Immancabilmente questo tragico racconto suscita in tutti una assurda curiosità: quanti padri ha il ragazzo? La risposta è incredibilmente logica: solo uno perché il chirurgo è la madre. Questo è un tipico esempio dei limiti del nostro linguaggio: medico è infatti un termine maschile utilizzato per una professione svolta egregiamente anche dalle donne, e fin dall’antichità. E di esempi simili ne esistono a bizzeffe: il sindaco, l’ingegnere, il medico, il ministro… Non dovremmo però stupirci di fronte tutto questo: siamo nel 2015 e ancora oggi in Italia, mai nessuna donna è diventata Capo dello Stato, Presidente del Consiglio, del Senato e della Corte Costituzionale. Perché allora dovremmo pretendere che esistano termini che riconoscano il nostro essere donne seppur professioniste? 

Non incorriamo in inutili catastrofismi: nel ’45 il sesso debole acquisisce addirittura il diritto al voto. E poi, dopo tutta la rivoluzione femminista abbiamo visto riconosciuti una serie di diritti che fino ad allora erano completamente impensabili (questa affermazione non è assolutamente ironica; credo molto nel lotte femministe).

Eppure c’è ancora qualcosa che stride. E non sono solo le strane femminizzazioni di termini coniati per essere usati solo accanto ad un soggetto maschile, come sindachessa, ministra o ingegnera…termini che, tra l’altro, provocano una certa ilarità. 

Esiste qualcosa di più profondo e allo stesso tempo di più subdolamente nascosto, che mi fa affermare che qualcosa ancora stride: sarà quel soffitto di vetro di cui tanto si sente parlare, sarà il terrore degli uomini di perdere una sfida (anche se in realtà non esiste alcuna sfida, né alcuna competizione uomo contro donna) conl’altra metà del cielo, oppure sarà semplicemente la predisposizione naturale della donna a cedere il passo a colui che si sostiene incapace di curare la casa e di allevare i figli, o ancora sarà qualcosa che ignoro. Il fatto è che le donne stanno innegabilmente guadagnando punti, ma solo in quello che io definisco il riscaldamento pre corsa campestre: su quasi due milioni di studenti universitari, il 55,4% è di sesso femminile. E le migliori valutazioni scolastiche sono ancora delle donne. Quando però si inizia la vera lunga gara, cioè quando si entra nel vero mondo del lavoro, le donne non vengono messe in campo: gli organigrammi delle aziende, sia pubbliche che private, presentano nelle posizioni di potere quasi unicamente uomini. Ecco cosa stride!!! 

Cosa c’è che non va? Sicuramente, il sistema perverso incapace di creare le condizioni necessarie per permettere alle donne più capaci di emergere come dovrebbero. Fatto è che il mondo senza donne agli apici perde una prospettiva importante per osservare gli avvenimenti. Perde una sensibilità innata e diversa da quella maschile. Perde una componente che dovrebbe essere rappresentata solo per il fatto che senza di lei non ci sarebbe un mondo.

Quale soluzione per un problema nato quando nasce l’uomo? In primo luogo abbandonare gli stereotipi che ci accompagnano da secoli, tra cui anche il fatto che la donna sia il sesso debole. Come? Rileggendo la storia con occhi un po’ più rosa. Capire che non ci sarebbe stato nessun Signor Eistein se non ci fosse stata la Signora Einstein; capire che non ci sarebbe stato nessun Clinton senza una Hilary (senza nessuna volontà di paragone tra loro gli esempi riportati); capire che esistono donne con nomi ignoti ai più, come Lilion Vera Rolfe, Yolande Beekman, Violette Szabo, Vera Leight e tante altre, che contribuirono alla sconfitta di Hitler, a costo della loro vita.

E poi? E poi creare strutture e servizi che ci permettano di restare mogli e mamme, pur nella piena realizzazione personale, data dalla carriera. Ma dove sta scritto che una donna sia obbligata a scegliere: essere una buona compagna e una mamma premurosa o una professionista ammirata?
Signore donne non tutto ancora è perduto: ecco una buona notizia. Da poco, lo Stato è venuto in nostro aiuto. Nel 2000 è stata varata la Legge 53, con l’intenzione di promuove un equilibrio tra tempi di lavoro, di cura, di formazione e di relazione, mediante:

  • l’istituzione dei congedi dei genitori e l’estensione del sostegno ai genitori di soggetti portatori di handicap;
  • l’istituzione del congedo per la formazione continua e l’estensione dei congedi per la formazione;
  • il coordinamento dei tempi di funzionamento delle città e la promozione dell’uso del tempo per fini di solidarietà sociale.

In altre parole la normativa spinge gli enti locali a facilitare gli spostamenti, incentivare la creazione di “banche del tempo” e di progetti sperimentali che facilitino la massimizzazione del tempo. Non è molto, ma è già un piccolo passo verso la libertà di scegliere con più leggerezza come e dove noi donne vogliamo trovare la nostra personale realizzazione. E’ una di quelle leggi che si raccolgono sotto il grande contenitore delle pari opportunità.

E ora, quando ci presenteremo ad un colloquio, guai a chi si permetterà di escluderci perché mamme o mogli… attenzione signori uomini.

 

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